“Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”. E’ quanto affermano alcuni indagati in un’intercettazione nell’ambito della maxi-operazione che, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e della Dia ha portato a 77 arresti (43 nella capitale, 34 nel Reggino), nei confronti di quella che è considerata la prima locale ufficiale di ‘ndrangheta nella Capitale. Eseguito anche un sequestro preventivo di urgenza di una serie di società e imprese individuali. A capo della ‘ndrina di Roma c’erano Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo: proprio Carzo nell’estate del 2015 ha ricevuto dalla casa madre della ‘ndrangheta l’autorizzazione per costituire una locale nella Capitale, retta dallo stesso Carzo e da Alvaro. Tra gli arrestati ci sono anche un commercialista e un dipendente bancario.
Investimenti e riciclaggio
Investimenti e riciclaggio
La particolarità di questa organizzazione è che non mirava al controllo del territorio ma a investimenti e riciclaggio, in particolare nel settore commerciale e quello della ristorazione. Tra le accuse contestate a vario titolo, dai procuratori aggiunti di Roma Michele Prestipino e Ilaria Calò, alle 43 persone arrestate (38 in carcere e 5 agli arresti domiciliari), c’è l’associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di droga, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa.
Riti e linguaggio
Riti e linguaggio della ‘ndrangheta erano stati esportati dal clan Alvaro nella Capitale. E’ quanto emerge dalle indagini svolte dalle Dda di Roma e Reggio Calabria che stamani hanno portato all’esecuzione di 77 arresti. “L’operatività delle locali di Sinopoli e Cosoleto – scrivono gli inquirenti – è risultata fortemente improntata al rispetto delle doti di ‘ndrangheta; l’osservanza dei riti e dei linguaggi tradizionali è stata esportata anche nella capitale, dove la ‘ndrangheta, ed in particolare la cosca Alvaro, si è trasferita con la propria capacità di intimidazione ed ha creato una stabile ed autonoma struttura criminale”.
Sindaco Cosoleto sostenuto da boss
Antonio Carzo, originario di Sinopoli, indicato negli atti dell’operazione “Propaggine” come uno dei capi del “locale” di ‘ndrangheta romano, sarebbe intervenuto personalmente, in occasione delle elezioni del 2018, in favore di Antonino Gioffrè, 47 anni, sindaco di Cosoleto, arrestato stamane dai Carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria per voto di scambio. Gioffrè si trova da stamani agli arresti domiciliari. Antonio Carzo, detto “‘Ntoni Scarpacotta”, sarebbe stato, insieme con Vincenzo Alvaro, uno dei due “diarchi” che guidavano il clan ‘ndranghetista romano.
“Siamo una carovana per fare la guerra”. Lo afferma il boss Vincenzo Alvaro, a capo della ‘ndrina di Roma insieme con Antonio Carzo, in una frase intercettata nell’ambito dell’inchiesta che, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Roma e della Dia, ha portato a 43 arresti tra Roma, Lazio e Calabria, nei confronti di quella che è considerata la prima locale ufficiale di ‘ndrangheta nella Capitale. Oltre agli arresti, i procuratori aggiunti Michele Prestipino, Ilaria Calò e il pm Giovanni Musarò hanno disposto il sequestro di 24 società e attività tra cui bar, ristoranti e pescherie nell’area nord della Capitale, in particolare nel quartiere Primavalle.
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