ESIMI ED ESIMIE | Riccardo Misasi, il migliore oratore della storia democristiana

Il ritratto di Riccardo Misasi, fuoriclasse della politica calabrese, più volte ministro: Commercio Estero, Mezzogiorno e Pubblica Istruzione 

di Vincenzo Speziali – Nel 1992 ero già al Giovanile DC, orgogliosamente e coerentemente ‘forlanianprandiniano’ e pupillo dei miei capicorrente (…onestamente, modestia a parte, pure di molti altri big del Partito), quindi -sempre in quell’anno- ci apprestavamo ad affrontare ciò che sarebbe stata -purtroppo e non per nostra colpa- l’ultima campagna elettorale della Democrazia Cristiana. Poiché, notoriamente, mio padre e mio zio Vincenzo ed anche zio Michele (il fratello di mia madre) erano schierati, a spada tratta, in favore di Loiero, il sottoscritto, per vincoli di corrente (tutti calabri), avrebbe dovuto parteggiare per Carmelo Pujia, senza se e senza ma. L’imbarazzo era forte, anche in considerazione dell’amicizia intima e familiare con Agazio, però le regole -in quel tempo lontano e speriamo, a fronte di quel che stiamo facendo, non del tutto perduto- dicevo le regole erano regole (aggiungendo pure, bellezza… come nel film Casablanca), quindi si dovevano rispettare -quasi fossero parte di un rito laico- o anche e nel mio caso, sapientemente smussarle, ma con stile, intelligenza ed eleganza…ça va sans dire.

Arnaldo Forlani e Gianni Prandini, sempre prodighi di affetto e attenzione nei miei confronti, così come lo sono ancora Angelo Donato e Nanà Veraldi (che della componente, nella nostra Regione erano i referenti), levarono “magicamente” il coniglio dal cilindro: siccome non vi erano per la Camera dei Deputati candidati di stretta osservanza della nostra area interna alla DC, mi fu derogato il permesso di esentarmi pubblicamente a favore di Carmelino (terminale ultimo dell’alleanza con noi forlaniani) -il quale, per inciso, non solo capii, ma comprese, mentre ancora lo ringrazio obstante post mortem suam- e fui “indirizzato” a seguire il capolista (ovvero il simbolo del Partito), cioè per l’appunto Riccardo Misasi, forte del fatto che egli fu uno dei pupilli di mio nonno, Francesco Calauti! Geniale, no?

Arnaldo Forlani e Gianni Prandini, sempre prodighi di affetto e attenzione nei miei confronti, così come lo sono ancora Angelo Donato e Nanà Veraldi (che della componente, nella nostra Regione erano i referenti), levarono “magicamente” il coniglio dal cilindro: siccome non vi erano per la Camera dei Deputati candidati di stretta osservanza della nostra area interna alla DC, mi fu derogato il permesso di esentarmi pubblicamente a favore di Carmelino (terminale ultimo dell’alleanza con noi forlaniani) -il quale, per inciso, non solo capii, ma comprese, mentre ancora lo ringrazio obstante post mortem suam- e fui “indirizzato” a seguire il capolista (ovvero il simbolo del Partito), cioè per l’appunto Riccardo Misasi, forte del fatto che egli fu uno dei pupilli di mio nonno, Francesco Calauti! Geniale, no?

Così andò e quindi mi tuffai pure in Calabria, in quella campagna elettorale, dove spiravano di già venti torbidi di secessione e di inchieste (precisiamo: false e tendenziose!), in una condizione difficile come non mai e con Albertino Tiriolo che non si capacitava del fatto che il sottoscritto la facesse franca, grazie pure alla mia notoria faccia tosta, la quale è però umana, contrariamente alle probabili, nonché sardoniche e parossistiche espressioni (le quali sono lo specchio dell’anima), insite in un certo barbuto dei tre colli, che a sua volta si rifà a Lenin e mendica voti tra i leghisti ‘mancusiani’ (ma, non ‘forgiueliani’!) o, anche, ammaliando amabilissimi bambinoni neo italoforzuti (adusi a gaffes costituzionali) e per di più trattando tutti come gonzi qualsiasi, nel mentre costoro, invece, ricordano dei bonzi qualunque.

Scusandomi per la perifrasi, ritorno al tempo di cui in incipit e vado, immediatamente, al punto, cioè al mio rapporto con Riccardo, il quale tra l’altro aveva un ottimo feeling con Arnaldo Forlani (già Segretario della DC e Presidente del Consiglio), benché quest’ultimo fosse pure leader di un’altra corrente interna al nostro Partito, epperò, sempre Arnaldo, provava per Riccardo un sentimento misto di affetto e stima. C’è da aggiungere anche, come Riccardo -oltre ad essere stato plurime e reiterate volte Ministro (Commercio Estero nel Rumor II, Mezzogiorno nell’Andreotti VI, Pubblica Istruzione con Colombo e l’Andreotti VII, senza contare il sottosegretariato alla Presidenza con De Mita)- si ritrovò persino nella parte, meritatissima, di migliore oratore della storia democristiana -di tutta la DC e non solo calabrese, bensì nazionale- essendo un uomo di tale cultura che poteva solo lui tenere testa a quella di Rumor e principalmente di Moro. Quest’ultimo, difatti, stravedeva per Misasi e da Riccardo veniva ricambiato (ne riparleremo, più avanti), in modo venerato, al punto che i loro dialoghi erano un trattato di nozioni e sapienza. Anzi -aggiungo con evidenza riscontrata da apodittica ovvietà- siccome nella Democrazia Cristiana, non eravamo adusi alla pencolante e precaria scolarizzazione (non si sentano toccati, in successione: Morra, Bonafede, Crippa e Di Stefano, ma tant’è, noblesse oblige), anche con Giulio Andreotti e Francesco Cossiga, primeggiava – senza ostentazione- mantenendo un rapporto di amicizia vera e reciproca.

Riccardo, noto pure per il suo eterno vizio di fumatore incallito (anche se, probabilmente, potrebbe giustificarsi per il fatto di come ciò gli fosse utile, alfine di allentare le mille tensioni di cui non dava traccia esteriore alcuna) tra l’altro, era un ‘emotivone’ dalla facile (ma sincera!) commozione, buono nell’intimo e nell’ufficiale, un generoso, uno pronto a sacrificarsi, non solo per l’ideale, bensì per l’amicizia, ed infatti -tralasciando, altrimenti, il ricorso alla spiegazione in capo della Sindrome di Stoccolma- nessuno potrebbe oltremodo comprendere quante ne ha ingoiate da e per Ciriaco De Mita (il quale, aveva un carattere grintoso ed esclusivistico, ma l’uomo se lo poteva permettere e a me manca, tantissimo, pure per questo!).
L’umanità ‘riccardiana’, la ricordano persino le cronache, così come i libri di storia, allorquando nei giorni tremendi e di martirio del più grande dei democristiani (superiore, persino a De Gasperi), ed anche dei politici tutti, cioè il povero Presidente Moro -a cui sono notoriamente devoto e di cui lo era anche Misasi- proprio Riccardo fu indicato dallo Statista imprigionato (nelle conosciute condizioni strazianti), di presiedere, in sua vece, il Consiglio Nazionale della DC, alfine di trovare una soluzione politica alla vicenda tremebonda e trepidante. Essa, purtroppo, si concluderà, per danno irreparabile di ognuno, con l’uccisione del nostro leader (ed ancora non si riesce a dargli degna sepoltura, visti i molteplici ” buchi neri”: vergogna!).

Con Fanfani, storico esponente della Democrazia Cristiana -all’epoca Presidente del Senato- e con il coraggioso Craxi, cercarono di fare l’impossibile, pure grazie al sostegno discreto ma deciso del Papa del tempo coevo, ovvero colui il quale diverrà S.Paolo VI (infatti ne morì di dolore per non essere riuscito a salvare la vita dell’ostaggio), però tutto fu inutile, ogni sforzo non produsse l’intento sperato. Di questo aspetto, ho sempre evitato di parlare con lui, perché la cosa era troppo dolorosa, per entrambi, epperò di dialoghi ne abbiamo avuti tanti, così come di momenti assieme, persino da soli in macchina -seppur accompagnati dagli uomini della sua scorta- quando ci spostavano nelle più disparate contrade calabre.
Riccardo, infatti, ci teneva ad essere presente, -non solo durante le campagne elettorali- ovunque o nei maggior posti possibili, dove trovava gli amici elettori, guidati da Pepe` Nicolò (con il suo elegante e teatrale humor boviciano) e -tra gli altri- Totò Delfino, nella mia Bovalino (il quale lo deliziava dei suoi coraggiosi articoli, aggiornandolo sui fatti di cronaca), Totò Galati (battutista al fulmicotone) e Clara Sanginiti (a cui ancora devo dire mille e mille volte grazie, persino per avermi concesso, il giorno del mio matrimonio, la ‘sala rossa’ del Campidoglio a Roma, quando lei era Capogabinetto della nostra amica Mariapia Garavaglia a sua volta Prosindaco dell’Urbe). Però, è giusto, pure, ricordare anche Pierino Rende (che a Riccardo deve molto, a fronte dei suoi successi e sempre gli è stato grato, dimostrandogli l’intima e pubblica riconoscenza) o l’encomiabile Anna Maria Nucci (affetto condiviso da parte di noi tutti), senza dimenticare Peppino Aloise, Gino Pagliuso e Peppino Mistorni, i quali gli restarono leali con determinata e straordinaria coerenza.
Aggiungo però, con tristezza e a mo’ di deprecabile e al contempo negativo stigma, come Misasi e i suoi familiari (soprattutto, uno in particolare!), abbiano dovuto sopportare persino il tradimento, non solo politico -che, come tutti sanno, io mai accetterei e mai praticherei, pur dando per scontato che taluni possono commetterlo (ed essi non sono politici, bensì politicanti)- ma, sempre con dignità e fede, affrontarono il tradimento umano di un soggetto aduso non alle norme e all’alta attività della formulazione o del concepimento legislativo, bensì più propenso a provole e caciocavalli, magari distribuiti come si fa con i biglietti omaggio agli spettacoli di cabaret scollacciati, per quanto deliziosi…e ho detto tutto!

Ovviamente, Riccardo, era un uomo di mondo e di esperienza ne aveva molta, di cultura poi non ne parliamo e di umanesimo mariteniano ne era esperto e cultore, tanto che ancora oggi ne parlo con i figli e con la nipote Caterina (affetto di gioventù, in ‘prescrizione’, come pure sa mia moglie). Quei comizi melodiosi -ancora nelle orecchie- sono spunto di riflessione e di intonazione attuale, perché albergavano in un animo nobile e venivano divulgati, a tutti noi, attraverso la voce profonda e roboante, di un consumato oratore classico, però non pedante, bensì affascinante fino all’inverosimile, ancorché naturalmente.

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