La “verità” sconvolgente di Mori e De Donno sul dossier Mafia-Appalti: ecco perché sono stati uccisi Falcone e Borsellino

L'eccezionale racconto degli anni delle stragi di due autentici eroi, fidati collaboratori di Falcone e Borsellino, ingiustamente processati e assolti dopo venti anni

Perseguitati per 25 anni. Adesso assolti. Il generale dei carabinieri Mario Mori, ex capo del Ros ed ex direttore del Sisde (Servizio segreto italiano), e il col. Giuseppe De Donno, suo stretto collaboratore, sono stati ospiti del Festival del Sud-Valentia in Festa a Vibo Valentia dove hanno presentato il loro libro “La verità sul dossier mafia-appalti”. I due nemici giurati di Cosa Nostra, che hanno arrestato Totò Riina e redatto l’informativa sulle collusioni tra mafia, politica e imprenditoria, finalmente sono liberi di raccontare le loro verità storiche nella lotta a Cosa Nostra che nel biennio tra il 1992 e il 1993 ha tenuto sotto scacco lo Stato italiano attraverso azioni militari che hanno provocato morti e paura su tutto il territorio nazionale.

Da carabinieri ‘eroi’ a imputati: processati e assolti dopo venti anni

Il generale Mori, allievo prediletto del prefetto di ferro Carlo Alberto Della Chiesa e stretto collaboratore di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a microfoni spenti, ha raccontato il suo dolore e quello della sua famiglia per la gogna mediatica e giudiziaria che ha dovuto sopportare per oltre un ventennio. Lo stesso il suo fedelissimo collaboratore De Donno il quale ha dovuto tirare fuori tutta la sua forza per difendersi dall’attacco violento dei giornali e da alcuni magistrati. I due alti ufficiali dell’arma, accusati di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, di non aver perquisito il covo di Totò Riina e di aver portato avanti una sporca trattativa Stato-mafia, sono riusciti a dimostrare l’inconsistenza di queste accuse infamanti. Adesso, fieri del lavoro che hanno fatto, portano in giro per l’Italia il loro racconto sugli anni più bui del nostro Paese che ha dovuto fronteggiare l’assalto dei diavoli di Cosa Nostra che hanno trucidato semplici cittadini e coraggiosi servitori dello Stato.

Nel segno di Falcone e Borsellino

Mori e De Donno restano gli amici di Falcone e Borsellino e di due grandi uomini che sono riusciti ad arginare lo strapotere di gruppi criminali che ancora non sono stati sconfitti né in Sicilia e né in Calabria. Il racconto del generale Mori e del colonnello De Donno dovrebbe continuare anche e soprattutto nelle scuole dove migliaia di studenti ancora non conoscono dettagliatamente i crimini perpetrati dagli affiliati alle mafie e le collusioni con l’imprenditoria e la politica corrotta. Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, camorra e sacra corona unita continuano a perpetrare il male assoluto. Solo l’educazione alla legalità delle future generazioni potrà scrivere la parola fine a queste forze oscure che ci levano anche il respiro.

La verità sul dossier Mafia-Appalti

La verità sul dossier Mafia-Appalti è un libro sconvolgente perché smentisce con documenti e atti processuali una narrazione portata avanti nell’ultimo ventennio da una certa propaganda le cui tesi si sono sciolte come neve al sole al vaglio di vari Tribunali. Mori e De Donno raccontano la storia di un’informativa alla base di un’indagine delegata ai carabinieri da Giovanni Falcone alla fine degli anni Ottanta. L’idea era quella di colpire l’imprenditoria collusa con Cosa Nostra e recidere i rapporti con certa politica che faceva affari con i mafiosi. Mentre altri magistrati si concentravano sulla mafia militare dando la caccia ai latitanti, Falcone e il suo pool di investigatori con il generale Mori e l’allora capitano De Donno in testa seguivano le tracce dei soldi per scoprire un vero e proprio sistema, definito il “tavolino” al quale sedevano esponenti di Cosa Nostra, imprenditori e politici. Nomi eccellenti nelle 900 pagine del dossier che coinvolgono anche parenti di magistrati in servizio in Sicilia. Incroci clamorosi e coincidenze inquietanti che rendono il quadro ancora più fosco.

Il 1992 è un anno traumatico per l’Italia. A Milano scoppia quella che passa alla storia come Tangentopoli o Mani Pulite. Un pool di magistrati apre il vaso di Pandora e svela il sistema di corruzione che inchioda politica e imprenditoria. E mentre al Nord si sente lo scricchiolio delle manette, al Sud succede qualcosa di più grave. La corruzione è il filo nascosto che lega l’Italia intera dalla Lombardia fino alla Sicilia solo che a Palermo al “tavolino” oltre alla politica e all’imprenditoria siede la mafia. A queste latitudini Tangentopoli è Mafiopoli e i giudici che indagano sul groviglio di interessi indicibili saltano all’aria. Al Nord si va in carcere, al Sud si muore. E’ questa la regola di una stagione terribile e in gran parte ancora oscura. Il 23 maggio del 1992 nei pressi dello svincolo di Capaci a Palermo il tritolo uccide Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti della scorta. Il 19 luglio dello stesso anno un’autobomba esplode in via d’Amelio a Palermo e mette fine all’esistenza di un altro valoroso magistrato Paolo Borsellino, anche lui ucciso insieme alla sua scorta. Proprio in uno dei processi istruiti per fare luce sull’attentato costato la
vita a Borsellino, la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta scrive nella sua sentenza che una delle causali della strage di via d’Amelio sarebbe un dossier, il dossier Mafia-Appalti. La verità su questa informativa è diventata un libro che è anche un documento eccezionale e a tratti sconvolgente. Un racconto di un’occasione persa perché quell’indagine – se non insabbiata dalla stessa Procura di Palermo dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino – poteva cambiare l’Italia.

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