Alibante: gli affari del boss, le infiltrazioni mafiose in politica e il ruolo dell’avvocato

Le minacce agli imprenditori, le richieste estorsive e la rete dei prestanomi: emergono ulteriori dettagli dalle carte dell'inchiesta della Dda di Catanzaro
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di Gabriella Passariello- Non solo la Piana di Gioia Tauro, la provincia di Vibo, di Cosenza e di Caserta. La cosca Bagalà operava lungo la fascia costiera tirrenica, nei comuni di Falerna e di Nocera Terinese ed era strettamente legata alla famiglia di ‘ndrangheta dei “Iannazzo-Cannizzaro-·Daponte” di Lamezia Terme. Il capo bastone Carmelo Bagalà sarebbe stato in grado di gestire tutti gli affari illeciti di famiglia, era considerato il dominus, soprattutto nel settore delle estorsioni, dell’usura e nella gestione di diverse attività economiche e finanziarie di quel territorio. E’quanto emerge dall’ordinanza vergata dal gip distrettuale del Tribunale di Catanzaro Matteo Ferrante, che ha portato a 19 misure cautelari e a 24 avvisi di garanzia nell’ambito dell’operazione della Dda guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri “Alibante”.

La rete dei prestanomi

La rete dei prestanomi

Attraverso una fitta rete di prestanome, ai quali venivano intestate le quote societarie della “Calabria Turismo srl” e della “Sole srl”, il boss avrebbe eluso sequestri e confische di beni, gestendo in modo occulto gli interessi economici e finanziari della cosca, investendo il capitale accumulato, provento delle varie attività illecite sia nel settore turistico alberghiero che in altri beni patrimoniali. Sarebbe riuscito, attraverso la “Calabria Turismo srl” a percepire indebitamente un finanziamento pubblico di 500.698,51, impiegando una prima trance di 299.849,25 euro per la ristrutturazione e riattivazione di una struttura alberghiera denominata “Hotel Dei Fiori” da realizzare nel comune di Falerna, lavori che avrebbe controllato in prima persona, sottomettendo e soggiogando i titolari della ditta “Megarredi”, a cui avrebbe imposto l’assunzione di persone di sua esclusiva fiducia. Li avrebbe costretti ad emettere numerosi assegni post datati a beneficio di fornitori di materiale edile, contattati e scelti direttamente dal capo cosca, facendosi consegnare dagli stessi, a titolo estorsivo, somme di denaro in contante di circa 40mila, 50mila euro e con minacce esplicite li avrebbe indotti a non esigere il credito vantato legittimamente nei confronti della “Calabria Turismo srl” e relativo ai lavori eseguiti all’ “Hotel dei Fiori”, determinando l’inevitabile fallimento della ditta Megarredi.

Le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione

Bagalà avrebbe organizzato importanti operazioni di riciclaggio di denaro, finalizzate a completare i lavori dell’Hotel e a condizionare negli anni la vita politica della zona: nel corso delle elezioni amministrative del giugno 2018 per il rinnovo del Consiglio comunale e l’elezione del sindaco di Nocera Terinese, avrebbe sostenuto la candidatura a primo cittadino di Massimo Pandolfo e quella a consigliere comunale di Salvatore Grandinetti e Rosario Aragona, tutti inseriti nella lista “Unità Popolare Nocerese”, i quali anche grazie al sostegno elettorale della cosca e al proselitismo ‘ndranghetistico effettuato in loro favore, sono risultati vincitori nella tornata elettorale. Bagalà poi tramite Luigi Ferlaino, ex sindaco di Nocera Terinese, Eugenio Giovanni Macchione e Luciano Gerardo Esposito, avrebbe influenzato la gestione amministrativa dell’ente pubblico per favorire i propri interessi criminali e quelli di altri sodali.

“La mente legale del clan”

L’avvocato  Maria Rita Bagalà, figlia di Carmelo, viene definita dagli inquirenti la mente legale della cosca: partecipava al clan, avrebbe garantito sotto la regia del padre l’amministrazione di diversi affari illeciti della compagine mafiosa, occupandosi della cura degli interessi economici e finanziari del sodalizio. Per evitare l’avvio di sequestri e confische di beni, avrebbe assunto il ruolo di prestanome nella società “Sole srl”, risultando intestataria di beni patrimoniali e quote societarie della consorteria, costituenti il provento illecito. Avrebbe amministrato con il padre Carmelo e il marito Andrea Gino Giunti, in prima persona e in maniera occulta le attività della società “Calabria Turismo srl”, interdetta per mafia nel 2016, intestata fittiziamente ai consociati prestanomi Antonio Gedeone in qualità di amministratore, Francesca Bagalà, figlia del boss e sorella di Maria Rita, Umberto Gedeone fratello dell’amministratore, Alessandro Rubino, nonché alla Cardamone Group srl. Inoltre, assieme al padre, al marito e ad altri consociati si sarebbe impegnata in operazioni di reperimento di risorse economiche di dubbia provenienza, finalizzate a perseguire il programma criminoso della cosca Bagalà, interessata a terminare i lavori di edificazione della struttura ricettiva.

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