di Gabriella Passariello- Un comitato di affari tra politici e appartenenti alle Forze dell’ordine che si sarebbero interfacciati con l’imprenditore Antonino Gallo senza adottare “quelle normali cautele che personaggi istituzionali dovrebbero tenere quando si ha a che fare con persone vicine alla criminalità organizzata. Questo a prescindere dagli esiti giudiziari”. Dagli atti degli inchiesta della Dda di Catanzaro “Basso Profilo” emergono più volte i contatti frequenti che l’imprenditore intrattiene con l’ex consigliere Tommaso Brutto e il figlio Saverio, con i quali avvia un progetto imprenditoriale in Albania, per l’apertura di un’attività per il commercio di articoli di antinfortunistica, con quote suddivise egualmente e il cui intero capitale di investimento sarebbe stato versato esclusivamente da Gallo, anche se l’idea iniziale era quello di aprire un “Brico” (LEGGI). Un affare per il quale era stato coinvolto Ercole D’Alessandro, il finanziere, all’epoca dei fatti in servizio al Goa di Catanzaro, con il compito di trovare le “chiavi” per entrare nei Ministeri e più in generale nella Pubblica amministrazione albanese.
L’interesse a screditare Abramo e Tallini
L’interesse a screditare Abramo e Tallini
Nel carteggio emerge più volte l’impegno di Tommaso Brutto a caccia di voti, a sostegno della sua candidatura nelle successive competizioni elettorali al Comune di Catanzaro, che si sarebbero tenute da lì a breve, elezioni che effettivamente poi gli garantiranno un posto tra gli scranni di Palazzo De Nobili nel 2017. E sono due gli interessi che legano il maresciallo a Brutto: i contenziosi in corso che riguardavano il rapporto lavorativo della figlia di D’Alessandro e di Saverio Brutto con la “Fondazione Calabresi nel mondo” per il mancato pagamento degli stipendi, e poi quello di delegittimare le figure del sindaco Sergio Abramo e dell’assessore regionale Domenico Tallini, quest’ultimo coinvolto nella vicenda Farmaeko, in relazione alla quale il finanziere faceva intendere l’esistenza di indagini in corso. In effetti l’ex consigliere regionale, a novembre 2020, è stato destinatario nell’inchiesta Farmabusiness di un’ordinanza di misura cautelare agli arresti domiciliari, poi annullata dal Tribunale del Riesame, sebbene resti comunque indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso. L’aggangio per conoscere in anticipo i contenuti di un’inchiesta lo si trovava sempre. (LEGGI)
Le fughe di notizie sulla Verdeoro
Il maresciallo D’Alessandro aveva anche svelato al consigliere Tommaso Brutto indagini in corso sul suo conto, all’epoca dei fatti, per la sua fittizia assunzione alla Verdeoro, la società cooperativa produttori ortofrutticoli, impresa agricola con sede a Simeri Crichi, che avrebbe assunto il consigliere alle dipendenze dell’azienda in qualità di direttore amministrativo, senza che lo stesso, però, avesse mai svolto alcuna prestazione all’interno dell’impresa. Lo stipendio? A spese del Comune di Catanzaro. Una vicenda rispetto alla quale Brutto riteneva di non incorrere in problemi giudiziari grazie ad una documentazione formalmente inattaccabile sotto il profilo amministrativo. Il maresciallo però va oltre, gli dice di stare attento: “là c’è stata una lettera inviata al procuratore della Repubblica, allora c’era Lombardo… poichè sono cose che riguardano… allora ha delegato… al… tenente colonnello (della Guardia di Finanza, oggi in pensione ndr) di fare indagini… il vento è cambiato… l’esposto parlava chiaro, se tu manco ci andavi là (a lavorare alla Verdeoro ndr). Nella conversazione intercettata il maresciallo avverte Brutto di stare attento… che mettono le telecamere… Il riferimento questa volta è relativo a quanto poi effettivamente è avvenuto, due anni dopo quando il 13 dicembre 2019 i carabinieri della sezione della pg della Procura hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini per Tommaso Brutto e altri 28 consiglieri comunali nell’ambito dell’inchiesta Gettonopoli. La paura di avere gli occhi puntati di investigatori e inquirenti, hanno spinto lo stesso D’Alessandro, ma anche altri indagati, tra cui Gallo e Saverio Brutto ad essere più “riservati”, utilizzando utenze di gestori telefonici albanesi, in modalità “citofonica” o la messaggistica “whatsapp”, evitando di farsi vedere in giro in città.
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