di Gabriella Passariello- Dalla scelta del luogo in cui fare la riunione sull’affare dei farmaci, alla necessità di avere il suo placet, dalla conoscenza di tutti gli aspetti del business e delle modalità di gestione, senza che il nome dei Grande Aracri uscisse fuori. Giuseppina Mauro, la moglie del boss di Cutro Nicolino, detto anche Mano di gomma, avrebbe ricoperto un ruolo di vertice all’interno della consorteria. Si sarebbe sostituita in tutto per tutto al marito in carcere. I riscontri a questa affermazione, in base alle motivazioni depositate dal gup Barbara Saccà nell’ambito dell’inchiesta Farmabusiness in cui la donna è stata condannata in primo grado a 14 anni di reclusione, sono tanti e si evincono dalla preoccupazione di “tenere coperte” sia la provenienza del denaro come la destinazione degli utili, in modo da fugare ogni possibile sospetto che i flussi finanziari si muovessero da e per la famiglia Grande Aracri, con l’ulteriore predisposizione di ogni cautela per tenere celato il management. E ancora il programma imprenditoriale che riflette intenti predatori come l’acquisizione di farmacie attraverso fallimenti pilotati, l’esportazione illegale di farmaci all’estero fraudolentemente sottratti all’utilizzo interno e l’uso di canali privilegiati, beffando le regole del mercato e della libera concorrenza nel rapportarsi con la pubblica amministrazione e nel piegare l’azione della Pa agli scopi del sodalizio.
“Le funzioni direttive e di raccordo della moglie di Grande Aracri”
“Le funzioni direttive e di raccordo della moglie di Grande Aracri”
Giuseppina Mauro, detta Maria sapeva tutto ed aveva un ruolo ben preciso di direzione e organizzazione della cosca, facendo le veci del marito. Dal contenuto della riunione del 7 giugno 2014, nella ormai nota tavernetta, emerge con chiarezza che Salvatore Grande Aracri era andato a richiedere la sua approvazione e il suo apporto per il progetto imprenditoriale che doveva nascere. E un peso specifico nella cosca l’avrebbero avuto anche la figlia Elisabetta Grande Aracri,(condannata a 10 anni e 8 mesi di reclusione), come risulta anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonio Valerio e Giuseppe Liperoti. Il primo ha affermato che la moglie di Grande Aracri, durante i periodi di detenzione del marito aveva compiti di direzione e di raccordo. “Questa quando il marito è detenuto passa le novità dal carcere a noi accoscati e si fa portavoce delle direttive del marito. Quando ad esempio nel 2010 dovetti recuperare un credito provento di una bancarotta fraudolenta mi rivolsi proprio a Maria per mandare una ambasciata al marito detenuto e fu proprio Maria che risolse la situazione”. Analogo ruolo lo avrebbe avuto anche la figlia Elisabetta. Liperoti ha dichiarato che: “la moglie e la figlia di Grande Aracri hannno deciso chi doveva svolgere dei lavori di appalto nel territorio di Cutro riferendo su una vicenda estorsiva risalente al mese di marzo-aprile 2014 direttamente da Tommaso Trapasso e che ha visto il coinvolgimento della cosca Grande Aracri di Cutro. Un’attività estorsiva che riguardava una ditta catanzarese che gestiva un parco di pannelli solari diviso su tre terreni a Rosito di Cutro.
Le mazzette gestite dalla moglie e dalla figlia del boss
In base alle dichiarazioni di Liperoti la moglie e la figlia di Nicolino erano persone in grado di veicolare dal carcere informazioni, notizie a disposizione del boss; le indica come persone perfettamente al corrente dell’andamento degli affari poco puliti della consorteria. Ma è il contenuto dell’interrogatorio dell’8 settembre 2017, che il giudice ritiene decisivo: “Diversi sono gli imprenditori che contribuiscono economicamente al sostentamento della cosca tramite imposizioni da cui però ricevono dei vantaggi. Prima di ogni cosa bisogna premettere che nella cosca Grande Aracri non esiste una vera e propria bacinella. Il mensile ci veniva dato o da Nicola Grande Aracri, o da Giusepppina Mauro o da Giovanni Abramo. Del resto i membri della cosca potevano guadagnare in proprio dalle azioni illecite che commettavamo”. Il collaboratore di giustizia entra nel vivo chiarendo che la riscossione delle mazzette, in assenza di Nicolino Grande Aracri, veniva gestita dalla moglie Giuseppina Mauro o dalla figlia o dal genero Giovanni Abramo. In conclusione sia Valerio che Liperoti entrambi ex affiliati alla cosca cutrese ascrivono alla moglie e alla figlia di Nicolino Grande Aracri il ruolo di veicolare informazioni e disposizioni dal carcere, di riscuotere i proventi illeciti e addirittura assumere decisioni tra i sodali.
Il ruolo attivo della figlia del boss negli affari di famiglia
Il giudice nel motivare la sentenza non ha dubbi nel ritenere che la Mauro detenesse il potere decisionale e che la figlia Elisabetta esercitasse un ruolo dinamico-funzionale, apparendo direttamente assoggettata alle determinazioni del padre e della madre, dimostrando la costante collaborazione alla direzione con la madre e di supporto contabile di amministrazione degli affari loschi del padre. “E’ provata l’intraneità ala cosca, in qualità di partecipe di Elisabetta Grande Aracri, la donna non si è limitata ad adottare comportamenti volti a tutelare i componenti della famiglia e a proteggerli dalle indagini in corso, ma ha dimostrato un ruolo attivo, funzionale al perseguimento degli obiettivi del clan”.
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